Statua lignea dorata di S. Erasmo Vescovo e Martire, patrono di Capaci.
L’opera è ascrivibile ad un ignoto autore del secolo XVI° formatosi alla scuola della famiglia Gagini. Il Santo Vescovo è rappresentato in posizione eretta leggermente piegato sul lato destro, con mitra sul capo e paramenti liturgici (camice e piviale), mentre assume un atteggiamento espressivamente protettivo, con il braccio destro levato in atto di benedire ed il sinistro reggente il pastorale argenteo. Il viso sereno, benevolo e rassicurante è incorniciato da una minuziosa barba scura.
L’insieme dell’immagine assume connotazioni sontuose anche in relazione all’altezza della stessa (mt. 2,00). Riguardo alla nascita e allo sviluppo del culto del Santo a Capaci le notizie sono alquanto scarse e s’intrecciano con episodi leggendari che raccontano dell’arrivo della statua dal mare, elemento sviluppatosi dal fatto che il Martire era venerato e invocato dai marinai e pescatori e che le sue chiese e cappelle venivano edificate a presidio e protezione dei paesi costieri e delle tonnare. La vicinanza della tonnara dell’Isola delle Femmine concessa dal re Guglielmo II° agli Arcivescovi di Monreale e da questi affidata ai Padri Benedettini che furono tra i maggiori propagatori del culto di S. Erasmo e soprattutto il fatto che i suddetti padri provenissero dall’Abbazia di Cava de Tirreni, in Campania, regione in cui il culto era ed è particolarmente vivo per la vicinanza del luogo del martirio (Formia) e al sepolcro del Santo (Gaeta), fanno supporre che la devozione degli abitanti di Capaci sia da collegarsi a questi elementi. Notizie più sicure ci vengono però dagli archivi storici di Palermo e Mazara del Vallo (diocesi di cui Capaci fece parte sino al 1844). Da questi documenti apprendiamo le seguenti notizie: la Chiesa Madre parrocchiale dedicata a S. Erasmo cominciò a sorgere verso la metà del secolo XVI° e certamente subito dopo la concessione della Licentia populandi al nobile Francesco Beccadelli di Bologna, barone di Capaci. Dalla relazione della visita pastorale di Mons. Marco La Cava dell’ottobre 1613 emerge quanto segue: “la Chiesa Madre curata e parrocchiale sotto nome che solito chiamarsi di Arcipretato di questa Terra di Capaci è dedicata et intitolata di S. Erasmo Vescovo e Martire, per divozione così di tutto il popolo, come ancora del signor Marchese di Marineo, padrone di detta Terra, et usasi celebrare la festa di detto Santo titolare e patrono alli 2 di giugno, in cui usasi processionare la sua statua di legname tutta dorata”… “la qual Chiesa del glorioso S. Erasmo fu fabbricata a spese del signor Marchese nell’anno del Signore 1573 e poi dotata e spisata dall’Università di detta Terra di Capaci”. Pertanto, alla luce di quanto sopra, apprendiamo che nell’anno 1613 la statua in legno dorato di S. Erasmo era già venerata nella Chiesa parrocchiale e che si portava in processione. Anche nelle successive relazioni delle visite dei Vescovi di Mazara si fa sempre menzione della statua. Nel corso dei secoli la statua ha subito diversi restauri ed anche delle discutibili manomissioni, in particolare in epoca recente (1989), che ne hanno alterato l’estetica e la bellezza originaria. Nell’anno 2015, con l’autorizzazione della Curia di Monreale e della Soprintendenza dei beni culturali della Regione Sicilia, si è proceduto ad un accurato restauro che ha riportato la statua alla sua originaria bellezza.
Statua lignea del SS. Crocifisso.
Posta sull’altare maggiore della Chiesa Madre, l’opera venne realizzata da frate Innocenzo da Petralia, intorno all’anno 1628/30, su commissione della Compagnia del SS. Sacramento, per la Cappella del SS. Crocifisso della Matrice antica.
Il Cristo è rappresentato morente, il capo reclinato sulla spalla destra, la bocca aperta nell’atto di esalare l’ultimo respiro, il capo segnato dalla corona di spine. Il corpo è cinto da un perizoma tenuto da una corda che lascia scoperto il fianco. La raffigurazione di questa tipologia del Crocifisso ha come punto di partenza l’umanizzazione del Cristo che si svilupperà attraverso lo studio naturalistico e dinamico del nudo nella resa del martirio. La croce presenta una elegante superficie dorata ad argento misturato ed una ricca decorazione a motivi vegetali con la tecnica della punzonatura. Fino all’inizio del novecento la statua era inserita dentro un baldacchino in legno dorato e affiancato da due angeli che reggevano i simboli della passione, mentre alla base della croce era posto un antico dipinto raffigurante la Vergine Addolorata coronata d’argento.
Statua lignea dell’Immacolata Concezione.
Sotto il profilo iconografico, la scultura segue uno schema già codificato e che rappresenta l’Immacolata in atteggiamento estatico sopra una nuvola da cui si affacciano i volti di alcuni cherubini con le ali colorate, la mezzaluna con le punte rivolte verso il basso ed alcuni gigli. La Vergine è rivestita da tunica e manto dorati e decorati da numerose e morbide pieghe. Ha lo sguardo assorto, rivolto verso l’alto con i capelli raccolti e l’ampia fronte. Le mani sono giunte in preghiera, leggera variante rispetto alla coeva produzione, dove le mani ricadono, invece, incrociate sul petto.
Il particolare iconografico delle mani giunte è riscontrabile nella produzione scultorea del seicento, di cui offrono valido esempio le statue di analogo soggetto realizzate nel palermitano, prima tra tutte la celebre statua argentea della basilica francescana del capoluogo.La nostra statua accenna, inoltre, ad un elegante movimento rotatorio accentuato dagli svolazzi intrecciati del manto, espediente quest’ultimo, di gusto tardo-barocco, ampiamente diffuso nella scultura del tardo seicento e del settecento.
Di questa statua troviamo notizie nelle relazioni delle visite pastorali a partire dall’anno 1711 in cui, nell’inventario dell’antica Chiesa Madre, troviamo annotato: “il secondo altare di questa Matrice Chiesa, in cornu evangeli, è dedicato all’Immacolata Vergine nostra Signora, con sua statua di legno tutta dorata, con sua corona e diadema tutto d’argento”. Con l’edificazione della nuova Matrice anche la suddetta statua venne trasferita e collocata nel terzo altare della navata destra così come leggiamo nella relazione del 1747: “altare marmoreo dell’Immacolata Concezione decorato con un gran bel quadrone dell’Immacolata e altri Santi, con sua cornice e sua statua di legname tutta dorata con in capo lo stellario e la corona in argento”.
Statua lignea di San Giuseppe col Bambino.
Il gruppo statuario di San Giuseppe col Bambino, mostra il Santo Patriarca, padre putativo di Gesù, nell’atto di condurre il divino Infante per mano. Lo sguardo amorevole di Giuseppe, è rivolto verso il piccolo a cui tende la destra, mentre l’altra trova sicuro appoggio nel solido bastone argenteo. La figura del Patriarca è imponente con la lunga tunica cerulea cinta ai fianchi e articolate in numerose pieghe, con l’ampio mantello che avvolge quasi interamente la figura e che, fra morbide pieghe viene raccolto sul fianco sinistro. Particolarmente espressivo è il volto di san Giuseppe nella sua austera bellezza: i tratti decisamente marcati della fronte e degli zigomi e il naso retto, giocano un ruolo fondamentale nell’elaborazione del volto e della espressività, come anche la ricerca del dettaglio nella definizione dei capelli e della barba.
Di pari bellezza è il Bambino: raffigurato col viso sereno e severo e con i capelli riccioluti mostra un’età di circa tre anni. Anche in questa scultura, il Bagnasco mostra la sua predilezione per i particolari: l’incedere del Bambino determina infatti il leggero ondulare della tunichetta che, aderendo al corpo con varie pieghe confluenti, accompagnano il movimento. Le corte maniche lasciano semiscoperte le braccia, mentre queste tendono l’una verso il genitore e l’altra verso l’alto nell’atto di benedire gli astanti.
Dai documenti conservati nell’Archivio storico diocesano di Mazara del Vallo, apprendiamo che la statua venne realizzata dallo scultore Girolamo Bagnasco nella sua bottega, sita accanto alla Chiesa palermitana di San Giacomo la Marina, su commissione del sacerdote teatino Padre Paolo Macaluso. Venne consegnata alla comunità capacense il 27 aprile del 1816 nel corso di una solenne cerimonia: la sera di quel giorno venne portata nella Chiesa del Purgatorio (Attuale Chiesa di San Rocco) dove si celebrò un triduo di preghiere. Il primo maggio dello stesso anni, con la partecipazione di numeroso popolo festante la statua venne accompagnata processionalmente nella Chiesa Madre e collocata nell’altare a lui dedicato.
Tela del Martirio di S. Erasmo.
L’opera di grandi dimensioni (mt. 5,50 x 2,80) realizzata probabilmente nel sec. XVIII sul modello di quella già esistente nell’antica Matrice, narra l’evento del martirio di Sant’Erasmo, in particolare il leggendario evisceramento subito durante le persecuzioni di Diocleziano, che nel dipinto è rappresentato seduto su un alto trono. Tale atto è descritto in maniera cruda e diretta, evidente anche dal punto di vista cromatico: il rosso del sangue del santo si unisce a quello dei suoi abiti vescovili gettati a terra e agli sguardi scuri e accigliati dei carnefici.
Il sacerdote di fronte ad Erasmo indica, con la mano destra puntata, il tempio pagano di Ercole, in cui il vescovo si era rifiutato di adorare gli idoli. Attorno a questi primi personaggi si apre una folla di figure che rende la scena concitata, pur mantenendo un certo rigore nella composizione. Un soldato, in primo piano, dalla figura imponente, osserva la scena, dominata in alto dalla discesa di un angelo che porta i simboli del martirio, la palma e la corona.
La tela ricalca con dovizia di particolari la celebre tela del 1628 di Nicolas Poussein realizzata per la Basilica di San Pietro ed ora custodita nei Musei Vaticani.
Tela della Madonna del Rosario.
La grande pala d’altare (mt. 5,50 x 2,80), posta nella cappella della navata sinistra, venne realizzata nel 1750. Prima di quell’anno nell’altare era venerata la statua lignea dorata della Madonna col Bambino di fattura cinquecentesca, custodita, già in precedenza, nella Matrice antica.
La tela raffigura al centro della scena la Madonna seduta su un alto trono, sotto un baldacchino di colore verde scuro, che si apre sulla destra, lasciando intravedere un tratto del paesaggio e, in particolare, il frontone di un tempio pagano. La Vergine è affiancata da due angeli, quello alla sua destra le porge un cuscino con una corona di rose che alludono al rosario; l’altro, alla sinistra, pone sul capo di Maria una corona dorata.
La Vergine, il cui sguardo è rivolto agli astanti (sembra guardare non ai personaggi che la circondano ma verso coloro che si soffermano a pregare davanti alla tela), tiene levata in alto la mano sinistra con la quale regge la corona del rosario. Il Bambino Gesù ai suoi piedi, raffigurato seminudo, rivolge il suo sguardo a San Domenico e gli porge con la destra la corona del rosario. Il Santo, con l’abito dell’ordine dei predicatori da lui fondato, regge il libro delle scritture e un giglio simbolo di castità. Alle spalle di san Domenico, in secondo piano, è la figura di un altro grande santo dell’Ordine, Tommaso D’Aquino, fissato nell’atto di scrivere e con in petto il simbolo del sole raggiante. Dalla parte opposta, a sinistra della Vergine, si trova inginocchiata Santa Caterina da Siena, coronata di spine, con le braccia incrociate sul petto, mentre contempla la croce, presentata da un piccolo cherubino, e riflette sulla caducità della vita e sulla morte rappresentata da un teschio. Dietro a lei, con lo sguardo estasiato, la fiamma sul capo, le braccia aperte e le mani alzate, vi è San Vincenzo Ferreri. A chiudere la rappresentazione in primo piano, è posta la figura di un cagnolino bianco e nero, colori che richiama l’abito dei domenicani, recante una candela accesa in bocca, simbolo della fede e della fedeltà. Questa ultima figura è divenuta, nel corso dei secoli, il simbolo stesso dell’ordine, poiché, secondo la leggenda è legata al sogno della madre di San Domenico: la donna, infatti, durante il periodo della gravidanza, sognò di dare alla luce un cagnolino rimanendo profondamente turbata dall’ evento. Molti anni dopo, quando il figlio fondò l’ordine dei Padri Predicatori, essi furono chiamati comunemente domenicani. Il popolo, storpiando questo nome, li appellava “i cani del Signore“. Da qui l’assunzione della figura del cagnolino come simbolo dell’ordine.
Tela della Madonna delle Grazie.
La tela, oggi custodita nella Chiesa Madre e realizzata nel 1709, era in origine venerata nella Chiesa della SS. Trinità. Raffigura la Vergine in trono con il Bambino sulle ginocchia con alle sue spalle le figure dei SS. Anna e Gioacchino. L’opera fu commissionata per essere portata in processione nella festa della Natività di Maria, l’8 settembre.
La devozione del popolo in origine era sorta intorno ad un affresco dello stesso soggetto, ma di fattura cinquecentesca, presente nella parete esterna di un antico magazzino di proprietà del sacerdote don Antonino Riccobono, locale che, nei primi anni del settecento, venne trasformato in Chiesa, affidata alle cure della Confraternita della SS. Trinità detta comunemente del Crocifisso.
Purtroppo, in seguito al crollo della Chiesa, avvenuto nei primi decenni del novecento, dell’affresco non rimane traccia, mentre iniziano per la tela una serie di spostamenti: verrà prima collocata nella Chiesa Madre, poi in quella dell’Addolorata e, infine, nel 1925, per volere dell’Arciprete don Francesco Paolo Battaglia, posta in un edicola votiva del centro storico dove è rimasta fino al 2016 quando su indicazione della soprintendenza dei beni culturali, per motivi di salvaguardia e sicurezza, è stata portata nuovamente nella Chiesa Madre.
Rocco Battaglia